Settembre ti presenta il conto a modo suo: scurendo l’orizzonte sempre di più, giorno dopo giorno, e ricordandoti che l’estate va presa per quello che è, cioè una parentesi che si chiude sempre troppo presto. Settembre è anche il vero capodanno esistenziale, il mese in cui tutto riparte e non c’è tempo da perdere con progetti giganteschi che finiscono per non avere valore legale rispetto alla tua quotidianità. Ma è qui che arriva il soccorso necessario: non esiste musica migliore dello shoegaze quando c’è bisogno di estrarre i sogni dalle disillusioni.
Miners, Why can’t I
Ormai non si capisce più se lo shoegaze è il nuovo grunge o se il grunge è il nuovo shoegaze: di sicuro negli ultimi anni i chitarroni hanno quasi completamente sostituito le chitarrine, segno che la tendenza è quella che si può riassumere in un fragore sussurrato. Non sempre la formula funziona e, anzi, l’impressione è che spesso si dia priorità al suono giusto anziché al brano giusto. Non è il caso degli australiani Miners, che con Why can’t I, primo estratto dall’album A healthy future on Earth in uscita il 28 ottobre, tirano fuori un singolo bellissimo per arrangiamento, intensità, coerenza. Il giro di accordi iniziale è familiare senza essere scontato e la vocalità squillante fa da collegamento tra la strofa svuotata e il ritornello pienissimo: è ovvio che ci lasciamo travolgere da un suono grungegaze perfetto.
Ultrasaturated, Luna
In Italia sembra che le band non abbiano diritto di cittadinanza, almeno ai piani alti delle classifiche, che sono dominate per lo più da solisti e soliste perfettamente replicabili e sostituibili, una sequenza di nomi per un pubblico che evidentemente non vuole prendersi troppo sul serio. I gruppi, insomma, restano di fatto una scelta di vita artisticamente sotterranea: meno visibilità, più vitalità. Ma questo mondo underground è eccitante, imperdibile, divertente. Vedi gli Ultrasaturated, che a dispetto del nome che ti fa pensare a un misto di Nothing e Deftones – le stelle polari dello shoegaze attuale – si rivolgono invece ai primi Diiv e ai Beach Fossils, alle chitarre che saltellano nel riverbero e ai ritornelli che ti indicano la via di fuga dalle malinconie. Ci siete? Ci siamo.
Sorry, Dave, Sink
Uno dei brani migliori dell’album degli australiani Sorry, Dave, Simply disappear, ricorda un po’ certe svisate gaze dei Deafcult, ovvero velocità massima, riverberi infiniti e chitarre arrembanti. Ma anche la successiva Nothing, con un importante scalo di marce, mette tutto quello che serve per emozionare davvero: melodie totali, scrittura consapevole, produzione azzeccata. I Sorry, Dave sono la sorpresa di fine estate di cui c’era bisogno. Scusa Dave, ma qui noi stiamo sognando.
