Esatto: Spotify dice che a partire da gennaio 2024 se una canzone non raggiungerà la quota di 1.000 ascolti l’anno, quei centesimi di euro non andranno a chi detiene i diritti del brano, ma a chi supera quella soglia. Il discorso viene introdotto da un titolo talmente sexy e visionario da essere quasi progressista: «Modernizing Our Royalty System to Drive an Additional $1 Billion toward Emerging and Professional Artists». In effetti, sembra un ragionamento in sé ineccepibile: perché dare pochi spiccioli a chi evidentemente non campa con la propria musica, anziché dare più soldi a chi invece ha degli introiti consistenti dagli ascolti? Anche perché, spiega Spotify, i distributori digitali chiedono già una soglia minima (10 o 20 dollari, di solito) prima di dare il via libera al pagamento dei diritti. Inoltre, bisogna aggiungere gli interessi delle banche per ogni transazione. Il risultato? Spesso questi soldi non arriverebbero nemmeno ad autori e band, sostiene sempre Spotify. Dunque si tratta di un rivolo di soldi «dimenticati» che va a ingrossare una massa di denaro enorme (la piattaforma stima che si tratti di 40 milioni di dollari l’anno).
Si rischia il precedente
In realtà, la faccenda andrebbe analizzata da un punto di vista diametralmente opposto. In un mondo ideale Spotify, che peraltro solo questa estate ha aumentato il prezzo degli abbonamenti ma senza inserire l’ascolto in qualità lossless, dovrebbe tutelare qualsiasi artista aumentando la quota destinata alle royalty. Siccome questo non avviene, quella di tagliare i rami secchi è una scelta che farà incazzare molte band, più di quelle che sembra suggerire Spotify quando parla di una percentuale, 99.5%, riferita alle tracce che hanno almeno 1.000 ascolti l’anno: è una cifra non verificabile ma che comunque pare poco realistica (in quello 0.5% rientrerebbero quasi tutti i gruppi di cui scrive Shoegaze Blog). Sia come sia, c’è chi la racconta diversamente e parla di un ben più importante 35%. In sostanza, le piccole band indipendenti contribuirebbero gratuitamente alla crescita del traffico di Spotify (un traffico forse tutt’altro che irrilevante) e i bassissimi compensi finirebbero nelle tasche di altri artisti. Va detto, inoltre, che benché i distributori possano optare per una soglia minima per i pagamenti, questi avvengono con regolarità anche per chi ha numeri considerati troppo bassi dalla piattaforma. La mossa di Spotify rischia di creare un precedente.
(Foto d’apertura di Thibault Penin su Unsplash).
