Che cos’è davvero la musica shoegaze? Negli ultimi anni si sta verificando una sorta di “grungeizzazione” del termine, andando a racchiudere suoni che poco hanno a che fare con l’ortodossia. Il che, in generale, non è un male, anzi. Ma l’impressione è che sia però un modo pigro per raccontare una nuova generazione di band che, in realtà, non sono neanche interessate alla cosa.
Slicr, Radio valley
Nell’era dello skip facile – tre secondi e via al prossimo reel – catturare l’attenzione diventa la faccenda più difficile del mondo. In questo caso, invece, tutto si ferma come se fosse inevitabile, e un po’ lo è: accordi che si intrecciano senza fretta, una linea vocale che scava senza alzare i toni e quell’aria da festa indie rock anni Duemila in cui tutto era bellissimo, come se il futuro non avesse motivo di esistere al di là di quelle notti perfette. E poi i ritmi che accelerano e rallentano ma non smettono di tenere il groove, un senso di condivisione emozionale: qualcuno ha detto Broken Social Scene? Noi diciamo Slicr. E aggiungiamo bene, molto bene.
They Are Gutting A Body Of Water, Lotto
Tra i nomi decisivi del nuovo shoegaze – quello realizzato con chitarre incendiarie e afflato grunge – gli statunitensi Tagabow sono un po’ il passaggio obbligato: per capire dove soffia il vento dello shoegaze contemporaneo bisogna necessariamente passare da loro. Lotto è un disco in cui le influenze di almeno trent’anni di rock alternativo si alternano e si completano. Prendi American food: ci senti dentro gli Slint e Alex G mentre una voce filtrata canta «tell me there’s a better one and I’ll go get my gun», una roba disturbante nella sua intonazione aliena. Rl stine si incardina in quella triade Pixies, Nirvana, Nothing che ormai è un classico di questo decennio. La chiusura di Herpim è un carillon shoegaze in cui non si danza, ma si poga. Giusto così.
Living Hour, Internal drone infinity
Internal drone infinity è un disco compatto e compiuto. Il quintetto gioca le sue carte con lucidità: indie rock ruvido e carezzevole insieme, sostenuto da una cantabilità che tiene in equilibrio tensione e immediatezza. Musicalmente i Living Hour richiamano i Big Thief e i Wednesday e il confronto non li mette per niente in difficoltà. Resta però il nodo dell’etichetta – ormai diffusissima – di shoegaze, che viene applicata anche alla band canadese, ma che suona a volte come una forzatura su cui, prima o poi, varrà la pena soffermarsi.
