Il suono shoegaze è una questione, da sempre, di sensibilità. Va bene la grammatica dei riverberi, i dettami delle distorsioni, le vocalità sommerse, ma il punto da cui tutto parte è uno solo: comprensione. Quello che chiediamo alla musica, in fondo, è di accompagnarci con canzoni che prendano sul serio i nostri sentimenti — senza proporci scorciatoie emotive, ma indicando una direzione nel caos, attraverso le domande giuste. Come fanno gli artisti di questa settimana.
Glare, Sunset funeral
Nuovo album per la band statunitense, un disco che è una celebrazione dell’heavy shoegaze contemporaneo, quel suono in cui ogni strumento sembra scolpito nella pietra – tocchi pesanti, suoni compatti – e la linea vocale è un sussurro che scivola in mezzo al caos. È un genere ormai molto specifico, quadrato e ortodosso che i Glare interpretano nel modo giusto: con credibilità, rigore, precisione.
Georgia, Georgia, Oblivious
Accettarsi è un verbo che è difficile da mettere in pratica, specialmente in un periodo in cui la quotidianità è una corsa che prevede solo ostacoli e nessun traguardo. Giorgia Piva racconta un pezzettino di sé nel nuovo singolo, un brano indie pop con chitarre dreamy e una melodia ben ritagliata tra riverberi generosi ma non invasivi. La vulnerabilità diventa un sentimento cantabile a piena voce. «Can’t trust my thoughts, I’ve been so wrong. I know, I know, I know». E in effetti affrontare i propri demoni significa, prima di tutto, non avere paura di dar loro un nome e, soprattutto, una canzone.
Vera Slö, Rêverie
L’anno scorso gli Ultranøia sono stati tra i gruppi più interessanti del nuovo shoegaze italiano. Oggi tornano con un nuovo alias, Vera Slö: un cambiamento, spiegano, per «motivi legali» dovuti a «un caso di omonimia». Sono situazioni delicate, ma forse si poteva evitare una svolta così radicale, senza costringere i ragazzi a ripartire da capo e a posticipare il secondo ep. Detto ciò, il singolo Rêverie conferma alcune cose importanti: che la band mantiene l’approccio shoegaze abrasivo e malinconico, che l’incrocio tra Verdena e Nothing funziona eccome, che per scrivere queste poche righe ho dovuto ricorrere più di quanto avrei voluto al copia e incolla delle vocali accentate (ma vi perdono).
The Lovelines, Slow high
È un ballo lento in 3/4, un carillon dream pop che suona in penombra, una canzone per voci sottili e un po’ malinconiche. Slow high è un singolo interessante per il tipo di produzione: armonicamente rotonda e con una dinamica ridotta al minimo, eppure funzionale alla costruzione melodica molto orecchiabile. Dei Lovelines si sa poco, se non che sono fratello e sorella e vivono separati negli Stati Uniti e in Germania. È una tendenza in aumento di cui continua a sfuggirmi il senso: in generale, l’anonimato non aggiunge mistero, semmai toglie empatia. Pazienza, questo pezzo è davvero ben fatto.
