Agosto un tempo non era il mese più freddo dell’anno ma senz’altro il più piovoso dell’estate. Adesso è come se a Milano le linee temporali si fossero spostate e dunque agosto cuoce a fuoco lento le strade deserte e i palazzi assolati. Ne ho approfittato per iniziare il ripasso di Lost, una serie che ho amato e che poi ho più che altro sopportato, perché nelle ultime due stagioni la sensazione è stata di una retta via smarrita tra mille rivoli narrativi. Probabilmente nemmeno l’intelligenza artificiale riuscirebbe a dipanare in maniera lineare la trama contorta, stratificata e velleitaria della serie, il che è un segno di speranza perché il cervello umano ragiona in maniera laterale e la creatività può essere imitata, ma non replicata e nemmeno superata (ancora). Devo dire, poi, che i personaggi sono come me li ricordavo: ci si affeziona subito a loro e il viaggio, insomma, vale la pena farlo fino in fondo. Anche una seconda volta.
Delfíni v Brnění, Odlet
Di questa band proveniente dalla Repubblica Ceca so soltanto che è formata da tre studenti di liceo. Il che vuol dire che sono molto, molto più giovani di me. Ehi, come posso far parte di questa emozione adolescenziale – travolgente, bellissima – senza sentirmi come il signor Burns quando indossa la maglietta e il berretto di Secco? Facciamo che appena premerò play voi caricherete al massimo le vostre distorsioni e diffonderete senza remore la vostra vitalità shoegaze: ci troveremo in un punto imprecisato dell’universo e magicamente sapremo, io e voi, di essere nel posto giusto, al momento giusto, con la musica giusta.
Wishy, Triple seven
Gli statunitensi Wishy sono tra le band del momento in ambito shoegaze. E a buon diritto. È interessante infatti come oscillino tra potenza e delicatezza senza dare l’impressione di perdere l’obiettivo: fare grandi canzoni. L’iniziale Sick sweet è l’indie rock dei nostri giorni: strofe veloci e azzeccate, ritornelli che vibrano emocore e riff memorabili. La successiva Triple seven, che dà il titolo al disco, è pop caramellato e appiccicoso: non è il mio brano preferito, ma non le lo togli più. Game è un pezzo clamoroso, tra Astrobrite, My Bloody Valentine e My Vitriol: il risultato è superiore alla somma delle parti. Little while ha un crescendo chitarristico che avvolge una vocalità ispirata, sommersa, perfetta. Un disco, di fatto, imperdibile.
Starflyer 59, Lust for gold
Il nuovo album targato Starflyer 59 è raffinato, scuro, shoegaze. Jason Martin, con il figlio Charlie alla batteria, è totalmente a suo agio con queste canzoni austere, al tempo stesso gelide e torride: riverberi lunghissimi, distorsioni densissime e una vocalità da cantautore folk che si lascia andare a tempi andati e a sensazioni che ritornano. Come rimettersi in sella a una moto e vagare con la mente verso nostalgie tangibili: «It’s funny how it’s just like then, I was slow and couldn’t win on my YZ80, but you were fast and you could win, you’ll always be my oldest friend».
Phantom Handshakes, Sirens at golden hour
Da New York, il duo composto dall’italiana Federica Tassano e da Matt Sklar è una perfetta combinazione di songwriting ovattato, quasi fantasmatico e di ottima qualità, tant’è che Good intentions è nella playlist delle migliori canzoni dell’anno secondo Shoegaze Blog. È un suono a bassa fedeltà che risplende nella nebbia: ci si perde subito in mezzo a queste melodie sfumate e chi è che ha voglia di tornare nel mondo reale? D’altronde, è questo che si chiede alla bella musica. E soprattutto a un genere che si chiama, non a caso, dream pop.
