Lunedì shoegaze: in alto i volumi, in alto i cuori

Sleepwalk

Prima che la frenesia da classifiche finali prenda il sopravvento e occupi i pensieri di qualsiasi sito – sì, anche Shoegaze Blog sta preparando la top 20 shoegaze e dream pop dell’anno – concediamoci ancora il lusso per qualche segnalazione meritevole di ascolto. Anche perché ci sono dischi che non possono essere ignorati, nonostante il numero di uscite sia sempre più elevato. Ed è qui che questo piccolo blog viene in soccorso: premi play e ascolta quello che hanno da dirti queste band. Dopodiché diffondi e sostieni, perché lo shoegaze – lo ripeto spesso – è fatto non solo da chi lo suona, ma anche da chi lo ascolta, e c’è bisogno del sostegno di tutti per renderlo più forte e, dunque, più bello.

Sleepwalk, Splatter. Quando nell’iniziale Flesh il cantante e chitarrista Ryan Davis canta “Desperate looking for a way out”, non sembra una frase buttata là, anzi la fai tua, soprattutto perché quest’esistenzialismo viene ben sottolineato da una musica che sta proprio a metà tra il punk più monolitico e lo shoegaze più emozionale. La successiva Swallow aumenta il carico con “Swallowing a cyclone of monotony” e una musica che è ancora più nichilista – perfetta per tutti noi, insomma. Gli americani Sleepwalk hanno azzeccato il disco, insomma. Ed Earwig è il pezzo più bello.

Contrast, Singularity. S’intitola proprio come uno dei miei dischi preferiti dell’anno, Singularity di Jon Hopkins. Solo qui l’elettronica non c’entra nulla. Semmai nella musica degli australiani Contrast c’è tutto ciò che serve per fare delle canzoni indie rock alla maniera degli shoegazer: ovvero, un lavoro melodico che si esalta all’interno di canzoni dalle dinamiche aggressive – ci sono i pieni e ci sono i vuoti – che richiamano certe sonorità dei primi anni Duemila.

Sonic Jesus, Memories. Qui abbiamo a che fare con una delle realtà migliori che ci sono in Italia. I Sonic Jesus tornano con un nuovo album che in verità non è davvero nuovo: si tratta infatti di una raccolta di brani, idee, sperimentazioni sonore registrate tra il 2010 e il 2015. Il suono è molto, molto diverso da quello di Grace (tra i venti album italogaze più belli di sempre): tanto post punk quello, tanto psichedelico, disturbante e a bassa fedeltà questo. Memories è un potente ritorno al passato per una band sempre più decisiva nello scenario europeo.

Yatus, Soak the sun. Qui c’è poco da dire, perché gli Yatus sono una nuovissima band da Trento e questo è il loro primo singolo. Musicalmente ci siamo davvero, il muro del suono sta proprio a metà tra post metal e shoegaze, l’atmosfera è cupa come da manuale e si sente che il gruppo ha qualcosa da raccontare. Piccolo passo falso è la chiusura, con un cambio di ritmo che stravolge la solennità del pezzo e mostra un po’ la corda.

Holygram, Modern cults. Vengono dalla Germania, gli Holygram, e sono una di quelle band che riesce a dosare rumorismo gaze ed estetica new wave. Se la formula sembra sulla carta un richiamo della foresta per nostalgici degli anni Ottanta più nascosti – quelli lontani dalle lucine fatue della pop music – il risultato è invece moderno e compiuto. Gli Holygram sanno bene dove vogliono arrivare: sta a te decidere di farti accompagnare.

Acty, Once veinte. Dal Messico, gli Acty sono un’interessante band shoegaze: melodie sognanti e distorsioni sospese, riescono a essere tanto rarefatti nelle atmosfere quanto concreti e nella scelta degli accordi e dei riff a corredo. Vocalmente forse un po’ deboli, persino per gli standard non troppo alti del genere, ma è un elemento che va in secondo piano rispetto al resto: i brani sono meritevoli di ascolto. E 402 è un ottimo pezzo.