I migliori 20 album italogaze

La prima cosa che ti dicono è che no, non puoi fare shoegaze perché è una roba vecchia, hanno detto tutto My Bloody Valentine, Slowdive e Ride, solo chi non conosce Loveless può esaltarsi con questa roba. La seconda cosa che ti dicono è che no, non puoi fare shoegaze perché la nostalgia è una colpa e chi si ferma a fuzz e riverberi è perduto, anzi fottuto. La terza cosa che ti dicono è che no, non puoi fare shoegaze perché in Italia è impossibile suonare queste canzoni, ci rendiamo ridicoli all’estero e poi non fa mica parte della nostra tradizione.

Poi ci sono quelli che se ne fregano di chi non vuole capire e di chi resta fermo nei propri dogmi non rendendosi conto della grande festa che sta perdendo. Sono i gruppi che da qualche anno stanno costruendo una via italiana allo shoegaze, qualcosa di più di una semplice coincidenza geografica: è una rete in espansione, una scena che avanza, uno stile riconosciuto. All’estero hanno coniato questo termine, italogaze, che non fa altro che porre l’accento su una vivacità musicale che ha pochi eguali al mondo. È una realtà piccola, ma in crescita. Sono band che stanno riformando dalle fondamenta il concetto stesso di musica italiana e che negli altri paesi vengono presi sempre più a modello. Tra pochi giorni uscirà una compilation targata Seashell Records, Vipchoyo Sound Factory e Shoegazin’ Your Waves che farà il punto sulla scena shoegaze italiana del 2018. Nell’attesa, ecco i migliori 20 album italogaze, con tanto di playlist Spotify.

20. In Her Eye, Borderline (2014)

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Un disco che per certi versi appartiene poco agli In Her Eye di oggi, che sono una band completamente diversa rispetto a quattro anni fa, anche per via della presenza di un nuovo chitarrista (Raffaele Bocchetti, ex Stella Diana) che si è aggiunto al terzetto iniziale. Il suono degli In Her Eye del 2018 è più denso, sonico ed elaborato rispetto al passato (lo scoprirete con Change, in uscita a giugno, di cui Shoegaze Blog ha presentato in anteprima il bellissimo singolo Closer to me), eppure questo Borderline già mostra fieramente una band che ha le carte in regola per seguire le orme dei Ride (come peraltro dimostrato in questo tributo). Avanti così.

19. Electric Floor, Fader (2017)

Electric Floor,

Ammetto di essere uno dei delusi da M83: la svolta sbarazzina di Junk mi ha lasciato triste come quando vedi dopo tanto tempo una persona cui vuoi bene e la ritrovi così, irriconoscibile e un po’ irriconoscente verso se stessa. (Ma io adoro comunque M83 e aspetto con ansia novità). Così con questo ep degli Electric Floor mi sono rimesso in pari col karma, la musica e tutto il resto: dream pop, new wave, un pizzico di post punk, fatto bene, anzi benissimo.

18. Kimono Lights, Trick or thriller (2016)

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No, ragazzi. No. Annunciate la fine dei Kimono Lights dopo che Shoegaze Blog vi intervista e soprattutto dopo che Shoegaze Blog lancia la sua campagna contro le band shoegaze che si sciolgono. Non si fa così. Resteranno le vostre canzoni furiose e bellissime. Però che peccato.

17. Human Colonies, Big domino vortex (2017)

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Prendi i My Bloody Valentine, metti un pizzico di Drop Nineteens, aggiungi una dose abbondante di anni Novanta e amalgama il tutto con distorsioni quanto basta. Se la tua casa non esplode, sei pronto per ascoltare gli Human Colonies. Una band che sa cosa vuol dire suonare shoegaze con la consapevolezza di chi non si limita a copiare, ma piuttosto spinge al massimo i volumi per fare terra bruciata e non pensarci più.

16. Klam, Bleak (2014)

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La copertina è un disegno scuro e affascinante, una strada perduta che David Lynch amerebbe raccontare con uno dei suoi film complicati e contorti che non finiscono mai davvero, nemmeno con i titoli di coda. Lo shoegaze ampio e riverberato dei Klam ha una sfumatura di mistero che rende questo album una colonna sonora perfetta per quei viaggi che ti portano fin dove arriva la notte.

15. Good Morning Finch, Gemini (2015)

good morning finch geminiLa creatività di questa band siciliana si concretizza con un disco a metà tra cantautorato d’alta scuola e post rock d’altri tempi, che racconta le imprevedibili evoluzioni di un piccolo big bang che ha scosso e non poco l’italogaze. I Good Morning Finch con Gemini sono i Sigur Rós italiani, con tutto quello che ne consengue in termini di eleganza, trasporto, emotività.

14. The Gluts, Estasi (2017)

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Non sono del tutto sicuro che si tratti di semplice shoegaze. Quello dei Gluts è un inferno di chitarre che esplodono, riff che collidono, corpi che strisciano e rumori che prendono il sopravvento. Estasi è un disco a modo suo spaventoso. Anzi, di più: estremo, scomodo, intransigente. E per questo irresistibile. Poi garantisce Fuzz Club, non certo un’etichetta qualunque. A dimostrazione del fatto che la credibilità non è merce rara in Italia, se si sa dove cercare.

13. Białogard, Studies on distance (2013)

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Forse è un progetto che non esiste più. Però Białogard in qualche modo resta uno dei migliori lavori di Fabrizio De Felice (musicista attivissimo in mille gruppi), nonché uno dei migliori esempi di dream pop mai espresso in Italia. C’è tutta l’eleganza di un genere che è pioggia, malinconia, autunno e nostalgia. Studies on distance è un album prezioso, da riscoprire.

12. Brothers In Law, Raise (2016)

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La musica dei Brothers In Law non è mica normale: o meglio, ha le sue radici, il suo pedegree, il suo stile. Però che radici, che pedegree, che stile: la band suona canzoni indie-gaze che sono una meraviglia di maturità ed equilibrio, mille riverberi e tremila effetti, dream pop anni Novanta con vista dritta a un paio di decenni dopo, come ascoltare una storia bellissima che riprende d’incanto da dove si era spezzata, per non interrompersi più.

11. Sonic Jesus, Grace (2017)

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Verrebbe facile definire i Sonic Jesus gli Interpol italiani. Se non fosse che Grace è qualcosa che va persino oltre: una musica che è post punk, ultrarock, totaldark. C’è lo stupore che si prova sempre quando si ascolta una band che non ha nulla da invidiare a nessuno. Ma proprio nessuno. E se anche qui c’è il bollo Fuzz Club, vuol dire che i tempi di un’Italia che se le canta e se le suona da sola al di qua delle Alpi stanno davvero per finire.

10. Weird., A long period of blindness (2015)

Quando la parola italogaze stava cominciando a girare per i vari blog e gruppi Facebook, è spuntato questo disco che ha inciso fortemente nella definizione di un genere che va oltre lo shoegaze e oltre il semplice aspetto geografico. Se l’italogaze è lo shoegaze secondo gli italiani, quello di Weird. è un punto di vista molto a fuoco e soprattutto molto emozionante di un genere che sta facendo scuola.

9. Clustersun, Surfacing to breathe (2017)

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Non è soltanto un gran disco, Surfacing to breathe. È anche uno degli album cardine dell’intera scena italogaze. I Clustersun pubblicano un album totalmente a fuoco per suoni (andate a scoprire di più sui segreti del chitarrista Mario Lo Faro), ambizioni, prospettive. La band catanese era già tra le più rispettate all’estero ai tempi di Out of your ego: adesso fa un balzo in avanti enorme. Che poi è anche un balzo in avanti enorme per tutto l’italogaze.

8. La casa al mare, This astro (2015)

la casa al mare this astro

Probabilmente i maestri dello shoegaze in Italia. La casa al mare con This astro sfiora la perfezione: la canzone At all, per esempio, è furia compressa in due minuti e mezzo, una roba esaltante alla My Bloody Valentine, ma con un vigore e una personalità indiscutibili. Quando poi rallentano, come in Tonight or never, viene voglia di fluttuare nello spazio, assaggiando galassie e accarezzando comete, senza fermarsi più.

7. Obree, Haze (2017)

obree haze

Graeme Obree è stato un ciclista a modo suo spregiudicato, senz’altro geniale, sicuramente sfortunato: inventore di una bici che gli consentiva una posizione particolarmente aerodinamica, ha stabilito record su record prima che gli venissero tutti annullati mettendo al bando proprio il suo prototipo. Ha anche tentato due volte il suicidio. Sara C. Poma (Emily Plays) e Fabrizio De Felice (Białogard, Huge Molasses Tank Explodes) ne riprendono il nome per il loro progetto: Haze è un album dream pop elettronico e notturno, come una notte stellata che sfuma dentro una foschia leggera e malinconica. Bellissimo.

6. Klimt 1918, Sentimentale jugent (2016)

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I comandanti sono di nuovo in giro dopo parecchi anni di assenza (lo shoegaze è come certi amori, insomma) con un disco massiccio, epico e definitivo. I Klimt 1918 toccano l’apice attraverso Sentimentale jugent, praticamente la summa perfetta di una poetica dell’introversione inimitabile, tra metal, post rock e shoegaze. Bentornati.

5. Soviet Soviet, Endless (2016)

soviet soviet endless

L’infinito dei Soviet Soviet è una corsa forsennata per lasciarsi dietro ogni strada, ogni storia, ogni persona e ritrovare se stessi. La vita raccontata dal trio è come un’anima scottata che va curata con canzoni dritte e potenti, con riverberi lunghissimi e con ritornelli che spaccano. Endless è un disco da punto e a capo: un esempio di bellezza al servizio della coerenza.

4. Felpa, Paura (2015)

felpa paura

Daniele Carretti non ha bisogno di presentazioni: il suo passato come Magpie e soprattutto Offlaga Disco Pax parla di un artista che ha fatto la storia musicale italiana degli ultimi quindici anni. Felpa è Carretti in versione privatissima: piccoli bozzetti di canzoni dream pop casalinghe, melodie da brividi e un suono di chitarra che è inimitabile e straordinario.

3. Be Forest, Cold (2011)

be forest cold

Da Pesaro al mondo intero o quasi, i Be Forest iniziano con questo disco un’incredibile storia dream pop e post punk. Cold ha tutto: una grande scrittura, idee molto chiare e una ricerca estetica raffinata, a partire dalla splendida copertina. È praticamente una raccolta di singoli, uno meglio dell’altro. È un disco che ha scolpito il 2011, lanciando una band unica nel panorama italiano.

2. Rev Rev Rev, Des fleurs magiques bourdonnaient (2016)

rev rev rev des fleurs magiques bourdonnaient

Con Des fleurs magiques bourdonnaient, i Rev Rev Rev diventano termine di paragone un po’ per tutte le band shoegaze del mondo. Non è un’esagerazione: tra concerti all’estero e riconoscimenti lusinghieri come quello di Bandcamp, il gruppo ha realizzato il super album che tutti si aspettavano, psichedelico e visionario. Il prossimo disco sarà diverso, più scuro e orizzontale, ma intanto qui c’è roba che ancora oggi suona freschissima.

1. Stella Diana, Nitocris (2016)

stella diana nitocris

La prima volta che ascoltai gli Stella Diana era il 2010: l’album s’intitolava Gemini e c’era una canzone, Shohet, che è tra le più belle che avessi mai ascoltato. Finalmente un gruppo italiano che suonava shoegaze con credibilità. Qualche anno dopo, Nitocris sancisce la definitiva maturazione di un gruppo con una lunga storia alle spalle ma con un futuro ancora più lungo davanti: gli Stella Diana realizzano il loro capolavoro, che poi è il capolavoro dell’italogaze tutto.