Intervista: Kimono Lights. Provando a cambiare la realtà

I Kimono Lights rappresentano la quintessenza della perfetta band shoegaze: hanno attitudine, volontà, talento, determinazione e coerenza. Trick or thriller, uscito lo scorso anno, è un grande disco: compatto, frenetico, ambizioso. Uno di quelli che segnano lo scarto tra un prima e un dopo. Dal vivo, i Kimono Lights sono semplicemente tra le migliori band in circolazione, come dimostra Live sessions 2017, un video recentemente messo online dalla band. Shoegaze Blog, dopo aver inserito Balance nella playlist Odio il lunedì, approfondisce il discorso con questa intervista al quartetto.

Come nasce l’idea di fare uscire una sorta di ep live da pubblicare in versione video?

“I motivi sono molteplici, ma innanzitutto ci rendiamo conto di avere fan disseminati un po’ dovunque nel mondo (per esempio, appena metà dei nostri follower su Facebook sono italiani). Per i fan all’estero finora è stato impossibile vedere un nostro concerto: con questa live session abbiamo voluto omaggiarli dando anche a loro la possibilità di sentirci suonare dal vivo, anche per poter mettere questa dimensione a confronto coi nostri dischi. Noi siamo musicisti, non produttori, e in fase di registrazione diamo grande importanza all’atto stesso del suonare: infatti registriamo sempre in presa diretta, tutti nella stessa stanza. Siamo per la musica viva, non quella artefatta e costruita ad hoc in studio”.

La musica dei Kimono Lights si basa moltissimo sull’impatto sonico dello shoegaze, più che sull’atmosfera ovattata del dream pop. Le vostre canzoni nascono da un sentimento specifico che trova sfogo grazie a questo suono? 

“Noi non cerchiamo di sfogare un sentimento specifico con la musica, ma certo è una forma di apertura psichica: lasciamo che venga tutto fuori senza mezzi termini, e lo facciamo per produrre un forte impatto emotivo. Vogliamo tenere l’ascoltatore agganciato e la tensione altissima, per rendere l’immedesimazione quasi obbligatoria. Se poi riusciamo a manomettere la valvola dell’ascoltatore e a fare in modo che da quel lato abbia inizio lo sfogo, allora sappiamo di aver fatto il nostro lavoro”.

Tutti cercano di costruirsi un’identità, ma non tutti ci riescono

Che cosa vuol dire per una band, e nello specifico per i Kimono Lights, avere un’identità? Perché è importante averla?

“Tutti cercano di costruirsi un’identità, ma non tutti ci riescono. Come musicista è naturale ispirarsi ad altri artisti, ma vediamo troppo spesso gruppi che sono l’esatta fotocopia di qualcos’altro. La differenza tra una buona band e l’ennesima che scomparirà senza lasciare il segno forse è proprio questa: riuscire a essere unici. Trasmettere quella reazione per cui, appena fai play su un pezzo, dici Ok, questi sono loro. Anche per questo siamo contenti che, ogni volta, qualcuno dica che assomigliamo a un gruppo diverso. Forse significa che quello che facciamo non si può ricondurre banalmente a un comune denominatore, ed è proprio a questo che puntiamo”.

kimono lights
Kimono Lights (foto: Facebook)

Secondo te stiamo vivendo un revival o un rinnovamento dello shoegaze? Qual è il rischio che l’attuale scena shoegaze deve evitare?

“Shoegaze è una parola a doppio taglio. Per noi lo shoegaze non è un genere, bensì un’attitudine. Altrimenti, come si è detto mille volte, saremmo costretti a dire che sono shoegaze solo MBV e Slowdive. Il revival c’è, ma a noi, onestamente, non interessa. Rischia di essere fine a se stesso e non portare a nulla. È invece proprio il rinnovamento quello di cui si sente il bisogno: è importante utilizzare le esperienze del passato per creare qualcosa di completamene nuovo e che abbia la sua ragion d’essere in se stesso, non nell’appartenenza a un genere circoscritto”.

Ormai puoi definire indie anche la peggior canzone frankenstein-pop

Qualche tempo fa, Manuel Agnelli ha detto: “Questa cosa qua vorrei che fosse la spinta anche per molti gruppi che nascono oggi: non solo raccontarsi, non solo farsi conoscere nel mondo, che non c’è niente di male, ma prima di tutto parlare alla gente che ti circonda, magari cambiare la realtà nella quale vivi se non ti piace”. Secondo te nella scena shoegaze italiana c’è questa volontà? Stiamo/state cercando di cambiare la realtà?

“Passione, è questo che fa la differenza. Noi ci autogestiamo e organizziamo autonomamente perché crediamo in quello che facciamo: quale può essere altrimenti il significato di indipendente? Perché ormai puoi dire “indie” anche della peggiore canzone frankenstein-pop – cioè costruita in studio dal niente, ad hoc, totalmente priva di anima. Ovviamente la nostra è una strada più difficile, che magari non può garantirti subito un tour europeo perché non abbiamo pagato nessuno per organizzarcelo, ma allo stesso tempo questo ci permette di prenderci soddisfazioni diverse. Nel nostro piccolo siamo propositivi, organizziamo situazioni aperte e stabiliamo contatti di scambio, per alimentare un circuito che c’è e che metta l’arte davvero al centro della scena. Del resto è la musica il senso e il significato ultimo, non il voto di scambio. Quindi la risposta è sì: stiamo cercando di cambiare la realtà“.

Fareste un disco cantato in italiano? E a proposito, avete un nuovo lavoro in vista?

“Abbiamo sempre nuovi lavori in vista. E non è nemmeno tanto una battuta. Riguardo all’italiano, al momento siamo più affascinati dall’ambito internazionale. La volontà è quella di creare un prodotto che qualunque persona nel mondo possa potenzialmente apprezzare, indipendentemente dalla radice linguistica”.

Kimono Lights -
Un disco bello e di grande impatto

Parlando dei testi, c’è un verso di un brano che mi ha colpito in modo particolare: “I’m just noise and bones”. È una frase che secondo me racconta molto dei Kimono Lights: ci sento un messaggio di purezza senza limiti. Qualcosa che suona così: “Siamo questi, siamo così, non ci nascondiamo”. Quanto è difficile raccontarsi con una canzone?

“È bello che quella frase possa significare anche questo. Certo, la dimensione lyrics di Trick or thriller non è la prima cosa che salta all’attenzione, ma fa molto piacere poterne parlare. Se si scende nella rete testuale non è difficile scorgere il concept che sta alla sua base. La fantomatica “Lady of the Time” viene invocata attraverso il vino già in Hallowine, dopo la coniugazione di amore e morte di Balance. In Revolva si dice “Lady of the Time you fill my heart, my chest / Fairytales come true again / With my gun I am the hand she cannot land”, e sul retro del disco c’è la pistola laser che il protagonista di Magical biscuits utilizza (o crede di utilizzare?) per sparare al sole mentre gioca con la sua “fatina”. Da questo, passando per il sacrificio dell’agnello (di nuovo Revolva), si arriva appunto a Noise and bones, dove quando il sole è già morto ed è diventato grigio si dice: “Black storm, hear my call / My pain is a fay / I can’t fall away / I’m just noise and bones”. Abbiamo pubblicato Xmas hangover a giugno e il disco a inizio ottobre. Ricordo che il volto in copertina è quello di Bem il mostro umano, dal primo anime horror del storia, trasmesso nel ’68. Detto questo, non do la mia personale soluzione interpretativa perché è giusto che ognuno costruisca la sua di interpretazione, ma i tasselli sono dove sono per un motivo. Più che un disco che parla di noi, Trick or thrillerè un disco che rappresenta una parte del nostro immaginario, così poi come lo erano i due precedenti. Direi uno dei nostri volti, musicalmente parlando”.

C’è una differenza tra la vita sul palco e la vita di ogni giorno? Ti capita mai di dover gestire picchi di adrenalina post-concerto mentre ti ritrovi nel pieno della calma (piatta?) della vita di ogni giorno?

“L’unica cosa che facciamo sul palco è entrare a piedi uniti nel pezzo, ci facciamo tutti trascinare da un’onda che è poi la stessa che condividiamo con chi ci ascolta, ma non c’è nulla di recitato. Né on stage né la mattina dopo, posto che non viviamo di sola musica e ovviamente dobbiamo impegnarci in altre attività durante la vita di tutti i giorni. Ma questo non penso aggiunga molto al classico concetto della maschera pirandelliana, con tutte le sue implicazioni esistenziali. I picchi di adrenalina ovviamente non sono una cosa legata solo allo stage, ma allo stesso tempo quel tipo di sensazione puoi ritrovarla solo lì, quando hai le mani sudate e i timpani che fischiano, totalmente risucchiato nel rapporto di elettricità”.

Premi play: cinque dischi consigliati dai Kimono Lights

Andrea (chitarra, voce): No JoyWait to pleasure. “Intanto vedere due belle bionde canadesi con in mano le chitarre fa molto piacere. Ma ovviamente c’è più di questo: melodie accativanti, strutture non banali e ben studiate, oltre a certi chitarroni che fanno il loro lavoro”.

Manuel (basso): Electric Moon, Stardust rituals. “Ho scoperto il loro ultimo disco uscito quest’anno facendo zapping su youtube, e ho subito trovato molto interessante il loro approccio pesante alla psichedelia, sia in questo lavoro che in quelli precedenti”.

Matteo (chitarra): Bosnian Rainbows, Bosnian Rainbows. “È un disco che mi riesce sempre ad emozionare, evocando sensazioni e ricordi. Inoltre amo molto le parti di chitarra dissonante di Omar Rodríguez-López, in un album che resta tuttavia melodico, orecchiabile e ben orchestrato”.

Enrico (batteria): Motorpsycho, Angels and daemons at play. “Che dire, forse è il capolavoro dei Motorpsycho e in questo periodo mi sta afferrando per le viscere. L’interesse per questo disco però è anche di carattere tecnico, stilisticamente mi avvicino molto al drumming di Geb. In ambito invece di uscite recenti sto consumando il nuovo di Ben FrostThe Centre Cannot Hold: perché se esiste lo shoegaze nell’elettronica, lo fa lui”.