Pia Fraus, “Field ceremony”

La mia famiglia vive a Palermo, io a Milano. Ci vediamo poco: la tratta Milano-Palermo ha gli stessi prezzi del Roma-Saturno e quindi spesso ognuno resta sul proprio pianeta – che vuoi che sia, sarà per un’altra volta, tanto c’è Whatsapp, tanto c’è FaceTime, tanto c’è il messaggino. Basta poco, in fondo, per convincersi che va tutto bene così. Eppure quando ci si rivede, pur tra qualche silenzio e un po’ di ghiaccio da rompere, c’è spazio per certi sorrisi che oggi sono sempre più rari. Da quando mi sono trasferito a Milano sono passati dieci anni: ho cambiato sei lavori, ho abitato in quattro case, ho suonato in due band. Ho vissuto tante piccole rivoluzioni, alcune belle e altre no: tutto mi è servito per imparare ad assaggiare la vita senza restarne sconcertato. Ma se non avessi quella piccola grande certezza a Palermo – la mia famiglia – chissà dove sarei adesso, chissà che cuore triste, chissà che brutta vita.

Nebbia rosa ovunque

I Pia Fraus fanno partire Field ceremony dalla fine: It’s over now è il benvenuto di chi ti accoglie subito con un addio. Messa lì, all’inizio di tutto, è un’introduzione che sa di sipario e buonanotte: una sola frase che si ripete continuamente, mentre le chitarre si muovono lungo traiettorie di caos e leggerezza, di sostanza e di dettagli. Un bel pezzo. No filters needed ha un suono che scorre a ridosso di nostalgie mai superate, quei ricordi che fuggono lievi nella memoria e che lasciano squarci impossibili da ricucire senza provare un dolore insopportabile. Sembra di sentire la versione dream pop dei Lali Puna – calore freddo intorno e nebbia rosa ovunque. Mica male davvero. Endless clouds è ancora meglio: il singolo dei singoli, un brano rock splendido, orecchiabile e maturo, sintassi dream pop rispettata e idealismo shoegaze da tramandare alle nuove generazioni. Portate rispetto ai Pia Fraus, dunque: una band maiuscola per coerenza, stile, qualità.