The Morelings, “Same century”

È vero. il dream pop è molto spesso una questione di fede. Ha le sue regole, le sue cerimonie, le sue certezze. È pura comfort zone, sa proteggerti dal rischio, dall’imprevisto, dalla sorpresa. Ma anche dalla banalità, dalla noia, dalla delusione. Da questo punto di vista, il dream pop rientra perfettamente nell’ambito delle certezze che ho bisogno di avere ogni giorno con me. Attenzione, però: questo non vuol dire prediligere ciò che già conosco. Tutt’altro: significa affidarsi a canzoni che sanno benissimo come mi sento e che mi preservano da questi tempi difficili e da quelle musiche inutili. Non a caso, se lo shoegaze è il punk degli introversi, il dream pop è il blues dei sognatori.

Lì restano e lì fanno più male

The Morelings
The Morelings dal vivo ti prendono e ti portano via (credit: Jeff Garroway)

Dato che il dream pop è una questione di fede, chi ama il dream pop non può che credere nei Morelings. Same century ha un inizio morbido e sottile, come un sabato mattina nuvoloso eppure a modo suo rigenerante. LYT ha l’anima dei Cocteau Twins più rilassati, quelli che ascolteresti quando hai bisogno di allentare i nervi e rallentare i battiti: dunque, arpeggi di chitarra che scivolano via in spazi infiniti e una voce che dà luce all’arrangiamento e calore ai riverberi. We were è una ballata di synth e malinconie ed è davvero bellissima e inattaccabile, come se M83 non avesse ancora abiurato il verbo del dream pop e quindi avesse ancora voglia di accompagnarci all’interno di un mondo che non ha mai smesso di emozionarci. Never sure ha dei suoni indefiniti e avvolgenti, ci senti un po’ i Cure di Disintegration, quella perfezione oscura che dietro a una tristezza totale cela una punta di pericolosa oscurità pronta a travolgerti. Poi c’è la chiusura di Only I was, che scorre come quei rimpianti che sono sempre più lontani nel tempo, ma sempre più vicini al cuore. E lì restano, e lì fanno più male. E però forse non è poi questo gran dolore.