Cinque bellissime cover shoegaze

Felpa, ovvero Daniele Carretti Felpa, ovvero Daniele Carretti

Che cos’è una cover? Un omaggio sentito e appassionato o un atto di insolenza e arroganza? Un tentativo di riscoprire le proprie radici musicali o una sorta di insurrezione che grida vendetta? Difficile rispondere: c’è chi detesta le cover (“Ma chi sono questi che credono di poter fare meglio di chi la canzone l’ha scritta e incisa?”) e c’è invece chi accetta il gioco e ascolta senza preconcetti, restando qualche volta anche a bocca aperta per il risultato. Queste cinque cover shoegaze, per esempio, sono straordinarie. Per davvero. Se non ci credete, basta premere play.

Felpa, ovvero Daniele Carretti (Offlaga Disco Pax), è uno dei migliori esponenti del dream pop italiano. Come chitarrista ha uno stile unico, siderale e terrestre allo stesso tempo, freddo come un inverno perenne e caldo come un cuore in lotta contro la tristezza. Questa cover di un pezzo storico dei Fleetwood Mac, Storms, inquadra perfettamente il talento di Felpa: un brano malinconico, tra rumore e melodia. Bellissimo.

Lithium dei Nirvana è uno dei pezzi cardine per chiunque abbia preso in mano una chitarra elettrica almeno una volta nella propria vita. Come fare allora a tenere testa a quel ritornello dai decibel altissimi e dalla disperazione profondissima? I Rev Rev Rev fanno la mossa a sorpresa e trasformano il grunge di Cobain in un pezzo shoegaze sbalorditivo e dissonante, sempre sul punto di fare boom: come una minaccia sottile e sottintesa, ma molto, molto reale.

Dagger è uno dei brani più oscuri e malinconici degli Slowdive: per venirne a capo, il bravissimo cantautore siciliano (residente da un po’ in Germania) Giampiero Riggio, in arte Haas, lo ha trasformato in una sorta di preghiera laica dai suoni sospesi e dall’impronta avanguardista, tra Xiu Xiu e Brian Eno. Sussurri e silenzi dispersi nel cosmo, in attesa di essere intercettati da qualcuno, tra un minuto o tra un milione di anni luce.

Per reinterpretare un capolavoro assoluto come There is a light that never goes out degli Smiths ci vuole fegato. Tanto che per i Daysleepers la prova è davvero ardua. Ma a loro basta aggiungere un magnifico tocco dream pop per donare un rinnovato romanticismo nichilista a una canzone che è insostituibile nella vita di ognuno di noi. Sembra facile e invece non lo è: il lavoro fatto dalla band nel portare gli Smiths nel nostro mondo è notevole. Da ascoltare e riascoltare.

E se i My Bloody Valentine mettessero da parte tutti le chitarre, le distorsioni, gli effetti e gli enormi amplificatori, che cosa resterebbe? Rispondono senza indugi i Memoryhouse, che con una classe immensa trasformano When you sleep in un commovente e minimalissimo brano per voce e pianoforte. Una delle cover più belle che possiate ascoltare. Garantito.