Jefre Cantu-Ledesma, “On the echoing green”

Jefre Cantu-Ledesma, "On the echoing green" Jefre Cantu-Ledesma, "On the echoing green"

Le mie estati da pre-adolescente sono state le più libere che abbia mai vissuto. Buttavo alle mie spalle gli inverni da secchione – lo sono stato allora, non lo sono stato più in seguito – e mi sentivo finalmente pronto a vivere tre mesi come un piccolo uomo al suo primo sorso di indipendenza. Bastava poco per divertirmi: gli amici estivi, i miei fumetti di Zagor, le mie compilation dance preferite. A volte immaginavo di essere in un telefilm americano, di quelli che i quattordicenni sembrano ventiduenni e gli adulti dei manichini di contorno che non si chiedono mai dove sono i figli. Ovviamente, come in ogni telefilm che si rispetti, non poteva certo mancare il bullo.

«Fai sedere me e la mia ragazza?»

Il tono faceva scivolare la frase verso il punto interrogativo. Lo sguardo, beh, quello invece faceva trasparire un punto e basta. Carlo era un fattone sempre in giro con gente strana. Altissimo e magrissimo, camicia mezza aperta su un petto liscio e rifinito da uno sterno bene in vista, sembrava un Richard Ashcroft con i capelli di Jarvis Cocker e l’istinto killer di un malacarne professionista. Io, che ho sempre invidiato chi riesce a rendere la propria magrezza un’imprevedibile arma psicologica di sottomissione, ero indeciso sul da farsi. Avrei potuto dire a Carlo di no, che il posto a sedere sul muretto davanti al mare non glielo cedevo, che lì dovevo vedermi con la mia fidanzata – che non avevo, ma vabbè – e che insomma, avevo i miei programmi. Invece gli dissi «Sì, certo», scendendo dal muretto come un gatto fradicio e allontanandomi di gran passo con il sedere stretto stretto.

Eppure tutto questo mi manca

Jefre Cantu-Ledesma
Jefre Cantu-Ledesma

Perché era un’esistenza di piccole cose, in cui nulla poteva far male davvero mentre tutto contribuiva a costruire la mia personalità. D’altronde la giovanissima vita di ognuno si basa su esperienze che diventano termini di paragone insuperabili nei decenni a venire. Non so se Jefre Cantu-Ledesma ha mai vissuto situazioni del genere. Di sicuro, On the echoing green dà l’impressione si trattare la musica come una macchina del tempo che lucida i ricordi e li fa rivivere sotto un’altra prospettiva. A song of summer mantiene quello che promette: splendido e romantico dream pop, inteso come un flusso di coscienza in cui le chitarre e le tastiere si intrecciano, mentre in sottofondo la voce delicata della musicista argentina Sobrenadar – talento puro – sembra raccontare una storia bella e malinconica, con quella nostalgia di fondo che a volte sembra non volerti abbandonare più. The faun invece è una sorta di rarefatto post rock con un crescendo che apre squarci di luce nel cuore, anche quando l’umore è nel pieno della notte. Perché c’è sempre bisogno di una musica che permetta di ritrovare la strada, e anche la meraviglia.